“Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano
Badalamenti ci sono cento passi. Li ho consumati per la prima
volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che
lavava i marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo
opprimente e la strada bianca che tagliava il paese in tutta
la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte
Pecoraro. Cento passi, cento secondi: provai a contarli e pensai
a Peppino. A quante volte era passato davanti alle persiane
di Don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai
a Peppino, con i pugni in tasca, tra quelle case, perduto con
i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in
fondo alla Sicilia.” (Claudio Fava, “Cinque
delitti imperfetti”, Mondatori 1994, p.9)
Già nel ’78 la storia di Peppino aveva ispirato
due efficaci servizi televisivi di Michele Mangiafico e di Giuseppe
Marrazzo.
L’idea di fare un film sulla vicenda viene, nel 79 al
regista Gillo Pontecorvo. Egli arriva a Cinisi per un’indagine
preliminare, si informa se nella vita di Peppino c’era
qualche ragazza, chiede per quale motivo la gente avrebbe dovuto
dare ascolto a Peppino e al suo messaggio, sparisce senza dare
più notizie.
Nel 1993 Claudio Fava e il regista Marco Risi preparano, per
Canale 5, un servizio su Peppino, il primo di una serie intitolata
“Cinque delitti imperfetti”, quelli di Impastato,
Boris Giuliano, Giuseppe Insalaco, Mauro Ristagno e Giovanni
Falcone.
Nel 1995 ci prova il regista Antonio Garella, che prepara un
video, poi inspiegabilmente non più trasmesso, per la
trasmissione televisiva “Mixer”. C’è
anche qualche “Piovra” televisiva che si ispira
al caso di un giovane impegnato contro la mafia, che lavora
in una radio libera.
Nel 1998 è la volta del giovane regista Antonio Bellia
con un video di 32 minuti dal titolo “Peppino Impastato:
storia di un siciliano libero”, distribuito da “Il
Manifesto”.
Contemporaneamente Claudio Fava e la sua compagna Monica Capelli
cominciano a lavorare su una sceneggiatura, mi richiedono una
copia delle registrazioni di Radio Aut, concorrono al Premio
Solinas, che vincono, e con il quale si ottengono una parte
dei fondi per finanziare il film. Il lavoro di regia viene affidato
a Marco Tullio Giordana, già autore di alcuni films d’impegno,
come “Maledetti vi amerò” (1980) e “Pasolini,
un delitto italiano” (1995), autore anche di un romanzo
edito nel 1990 “Vita segreta del signore delle macchine”:
come scritto in un settimanale, si ritrova nella sua opera “l’ossessivo
filo conduttore del confronto con la memoria”.
Giordana, con molto scrupolo professionale, individua i luoghi,
ascolta le testimonianze, recepisce i suggerimenti di modifica
di alcune parti di sceneggiatura, assume gli attori, in gran
parte locali e, comunque siciliani: tra di essi Luigi Lo Cascio,
un attore di teatro alla sua prima esperienza, che recita la
parte di Peppino,, cui somiglia in modo impressionante, Lucia
Sardo, ottima interpetre della madre di Peppino, Gigi Burruano,
il padre di Peppino, che conferisce al suo personaggio una drammatica
e toccante umanità, Tony Sperandeo, ormai specializzato
nella parte del mafioso e, in questo caso di Tano Badalamenti,
Claudio Gioè, interamente dentro la parte di Salvo Vitale.
Il film crea scalpore ed entusiasmo a Cinisi, coinvolge l’intero
paese e riesce ad ottenere molti più risultati di quanti
non se ne erano conseguiti in vent’anni di lavoro politico.
Dopo alcuni mesi di intenso impegno, grazie anche al sostegno
del giovane produttore Fabrizio Mosca, Giordana riesce a concludere
il lavoro e partecipa, il 31 agosto, al Festival di Venezia:
l’effetto è subito sconvolgente: dodici minuti
di applausi, entusiasmi, premio per la migliore sceneggiatura,
leoncino d’oro a Lorenzo Randazzo, che interpreta la parte
di Pappini bambino.
Man mano che esce nelle sale cinematografiche, il film continua
a raccogliere consensi, a suscitare emozioni e si conclude costantemente
con applausi spontanei e forti momenti di commozione: il regista
ha saputo creare un prodotto equilibrato in ogni sua parte,
calato quasi totalmente nel fatto reale e che ruota in una serie
di tematiche ancora presenti nella memoria, dalla splendida
utopia del ’68 alla forza delle idee della sinistra extra-parlamentare,
alla dinamica dei conflitti familiari nel triangolo padre-madre-fratello,
all’intuizione dell’uso politico dello strumento
radiofonico, all’entusiasmo giovanile dei compagni di
lotta, alla creatività degli hyppies e dei movimenti
del ’77, alla crudeltà di un sistema che non esita
a ricorrere alla morte nei confronti di chi lo smaschera e ne
denuncia i misfatti. Le scuole di tutta Italia, le università,
le associazioni culturali scoprono Peppino Impastato e proiettano
il film aprendo dibattitisu questa pagina di storia e di vita.
Il film è scelto anche per rappresentare l’Italia
all’Oscar, come miglior film straniero, ma non avrà
la fortuna di concorrere alla fase finale del premio per le
stesse ragioni a suo tempo avanzate per “Il Postino”:
è un film “comunista”, o quantomeno un film
in cui il comunismo è considerato una “positiva”
scelta di vita: per gli americani è meglio lasciar perdere.
In compenso, nell’aprile del 2001 il film vince cinque
David di Donatello, tra i quali quello per la scuola e quello
per io miglior attore protagonista, Luigi Lo Cascio.
(Tratto dal libro “Nel cuore dei coralli Peppino Impastato
una vita contro la mafia” di Salvo Vitale, Ed. Rubbettini,
p. 246)
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