Nel
’65 nasce il giornalino “L’Idea Socialista”,
intorno al quale si raccoglie un gruppo di giovani vicini al PSIUP,
che costituiscono un nucleo compatto con una forte e appassionata
esigenza di rottura, d’innovazione e di riferimento critico
nei confronti dell’amalgama clerico-reazionario e mafioso di
Cinisi.
Il primo numero suscita subito un vespaio e il sindaco democristiano,
il giudice Pellerito, cognato di Gaetano Badalamenti, turbato dal
contenuto dissacratorio nei confronti di una mentalità legata
a secolari pregiudizi che imponevano omertà e silenzio, sporge
denunzia ai carabinieri. Lasciamo ad un articolo di quel giornale
(agosto ’67) la descrizione delle peripezie passate dai ragazzi
che lo gestivano:
Cinisi, agosto
Dopo aver superato numerosi ostacoli iniziali, finalmente il giornaletto
“L’IDEA” poteva presentarsi al pubblico. “Erano
pochi fogli dattiloscritti e sfumati” doveva scrivere poi il
“Giornale di Sicilia”.
Eppure quei fogli dattiloscritti e sfumati e “ruvidi”,
come ebbe a scrivere “L’Unità”, erano una
carica esplosiva che di lì a poco doveva scoppiare. Non passarono
cinque giorni dall’uscita del giornaletto - i Cinisensi avevano
accolto la pubblicazine con commenti acidi o favorevoli, calorosi
in ogni caso - che tutta la redazione dell’IDEA fu convocata
in caserma. Fu svolta un’inchiesta a gruppo, a cui seguirono
altri interrogatori individuali, finchè fu redatto un fascicolo
dal quale risultava chiaramente che “L’IDEA” era
fuorilegge perché costituiva pubblicazione clandestina: al
pretore di Carini fu affidata l’ardua sentenza. Fummo condannati
ad un’ammenda , sotto forma di pena sospesa. In seguito ci appellammo.
Si concludeva con quest’atto una strana commedia iniziata qualche
anno fa. Ebbe a scrivere il giornale “L’Ora”: “Corre
insistente la voce che la denuncia sia partita dal collegio politico
dirigente”. Scrisse “il giornale di Sicilia”: “Il
sindaco, il democristiano Domenico Pellerito, è troppo indaffarato
a Cinisi per potere pensare al campetto di calcio. Che diamine! Ci
sono ben altri problemi che attendono d’essere risolti. Il campo
può aspettare.” Scrisse “La Città”:
“Nell’inchiesta sullo sport che il giornaletto “L’IDEA”
ospitava nelle sue pagine, si muovevano lamentele all’operato
dell’amministrazione comunale che non aveva saputo risolvere
il problema dello sport a Cinisi.” Scrisse un altro giornale
“I ragazzi ora hanno il bavaglio, non soffoca ma stringe, ed
è tutto legale”. Scrisse anche “L’Ora”:
I giovani redattori dell’IDEA avevano tentato di gettare una
pietra nelle acque stagnanti della vita del loro paese e sono stati
frenati nel loro coraggioso tentativo. Si tenta così di allevare
piatti conformisti di cui non si conosce la probabile futura evoluzione”.
Scrisse un giornale del Sud: “Si sta tra il timore di macchiare
le carte a questi futuri funzionari dello stato e la paura di trasgredire
la legge”.
Solo per aver scritto: “Forse il primo cittadino di Cinisi ignora
del tutto il significato della parola sport e la trascuranza delle
gerarchie comunali è una verità, una offesa alla dignità
di tutti gli sportivi di Cinisi”, un gruppo di ragazzi si è
visto costretto a frequentare per la prima volta caserme e tribuna,
a vedere il proprio nome stampigliato nelle carte penali.
Nel rileggere qualcosa di quei fogli si resta stupiti della capacità
che Peppino dimostra, all’età di 17 anni, nel formulare
lucide analisi politiche, quali quella che riconosceva nel PSU “un’estensione
della socialdemocrazia e una componente antisocialista per eccellenza,
avvedutamente inserita nel sistema, per svolgere in esso un ruolo di
effettiva copertura politica a quelle forze monopolistiche che del sistema
stesso costituiscono il sostrato economico”.
Nel giornale si analizzavano i problemi del mondo del lavoro, dell’emigrazione,
della repressione sessuale e gli aspetti delle componenti socio - politiche
- economiche dell’ambiente: la cosa non poteva piacere in un ambiente
pieno di conformismo.
“L’Idea” dopo il processo rimane bloccata per un anno:
agli inizi del ’66, superata la fase processuale, torna ad uscire
con articoli di attacco frontale nei confronti del settore politico
che ne ha ostacolato l’esistenza, affrontando con maggiore impegno
i problemi che travagliano il paese e portando avanti un progetto sempre
più articolato ed esteso di denuncia e controinformazione. Un
articolo a nome di Giuseppe Impastato, intitolato “Mafia, una
montagna di merda” , provoca pesanti pressioni e gravi intimidazioni
nei confronti di tutta la redazione e causa la prima profonda frattura
fra Peppino ed i suoi parenti: “Si fussi figghiu meu, ci facissi
un fossu e ci u vruricassi” (“Se fosse mio figlio farei
un fosso e ve lo seppellirei”), dice don Tumasi Impastato al padre
di Peppino; e Giuseppe Impastato, detto Sputafuoco, zio di Peppino,
fa capire chiaramente al fratello che non è possibile tollerare
in una famiglia di persone di “rispetto”, come la loro,
l’attività e il comportamento del figlio. Luigi Impastato
caccia di casa Peppino, che si stabilisce presso lo zio Matteo, fratello
della madre, e moltiplica il suo impegno politico, quasi scaricando
in esso la sua creatività e il suo bisogno d’affetto.
“L’Idea” continua la sua difficile vita: nel marzo
del ’67 Peppino partecipa alla “Marcia della protesta e
della speranza”, organizzata dalle popolazioni del Belice ancor
prima che scoppiasse il terremoto, e pubblica un servizio.
Il penultimo numero dell’Idea ospita una lettera aperta al consigliere
socialista prof. Abbate, nella quale si attacca frontalmente l’attività
politica del prof. Pandolfo, astro nascente del PSDI e sindaco del paese:
si denunciano i volgari metodi clientelari e le complicità con
gli ambienti mafiosi, attraverso i quali il PSDI si è sostituito,
anche come maggioranza politica, alla DC nella guida del paese.
L’ultimo numero del giornale pubblica questa lettera non firmata:
“Avete l’ardire di mettervi contro il Prof. Pandolfo, contro
l’ex sindaco giudice Pellerito e recentemente anche contro quella
degnissima persona che è il prof. Palo Abbate. In sostanza vi
mettete contro il gruppo rappresentativo del paese, come se voi sapeste
fare di più e meglio. Quattro straccioni come voi non possono
garantire la sicurezza della nazione. Sol perché hanno pena di
“consumarvi”, queste degne persone, da voi volgarmente oltraggiate,
non assumono provvedimenti legali”.
Pandolfo denuncia L’Idea, il PSIUP prende le distanze dal giornale
e dai suoi redattori, il maresciallo convoca in caserma Giuseppe Impastato
e Agostino Vitale, rimasti ormai soli a stampare il giornale ed intima
loro la chiusura, pena il deferimento all’autorità giudiziaria.
Si chiude.
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